Tutto cominciò sul campetto della Villa Comunale, culla e cuore della pallacanestro teatina, e qui vent’anni dopo è tornato Giampaolo “Pippo” Ricci, quasi a chiudere un cerchio. L’occasione è stata la presentazione della sua autobiografia (“Volevo essere Robin”, sottotitolo “Il mio viaggio fino a qui”, edizione DeAgostini) che in realtà ha fornito lo spunto per un bilancio al termine di un lungo, difficile, a volte tormentato percorso di crescita, esistenziale e sportiva. Dal campetto di Chieti alla gloria con l’Olimpia Milano e la Nazionale di basket. Un’ascesa che ha del prodigioso, “ma non è stato facile né semplice”.
Bellissima serata, ieri, domenica, in quel rigenerato spazio della Villa da sempre piccolo regno del basket di casa nostra. Evento impeccabilmente organizzato dal Panathlon Club Chieti presieduto da Ebron D’Aristotile. Tanta gente è arrivata per ascoltare Pippo che ha dialogato con il giornalista Beppe Rendine.
E’ partito da molto lontano il cestista, nato a Chieti il 27 settembre 1991, da quando ragazzino, dopo un iniziale approccio (fallito) con il calcio, ha scoperto il basket proprio là, dove è tornato. Quanto è costato in termini di sacrifici il suo lungo e faticoso cammino? “Tantissimo”. Il ragazzino fin dagli inizi ha lottato contro se stesso, le proprie paure e le proprie incertezze. Ha sconfitto l’ansia (“quando quello che aspetti arriva, solo allora devi decidere cosa fare, non vale la pena agitarsi prima”), i disturbi alimentari (“spesso mangiavo una volta sola al giorno, poi sono andato da una nutrizionista e finalmente ho eliminato gli errori che commettevo”); ha battuto certi scetticismi: “volevo prendere ingegneria o architettura. Poi ho scelto matematica perché era una facoltà che si conciliava con i miei programmi di allenamento. Ai primi esami, Analisi 1 e Analisi 2, presi 18 e 19. Il professore mi disse: cosi non andrai da nessuna parte. Capii che dovevo cambiare e ce l’ho fatta”. Così come quando un allenatore mi disse: sei pigro. Ci rimasi male, ma dopo compresi e cominciai a metterci più impegno”. Queste sono solo alcune delle tante sincere confessioni fatte da Pippo nel corso della serata. Applausi hanno spesso sottolineato i momenti del suo racconto.
A proposito, il nomignolo Pippo come nasce? “Alla Stella Azzurra – dice – tutti avevano un soprannome, io divenni Pippo”, “anche perché il personaggio disneyano gli piaceva” sottolinea Rendine, come amava il Robin “scritto su un vestito di carnevale nel 1994”.
Cosa porta nel cuore il nostro gigante buono? “Dove sono stato ho sempre lasciato un bel ricordo di me e quando ho vinto qualcosa non sono mai mancati i messaggi da parte di società e compagni avuti prima. Penso ad esempio a Tortona, a Cremona, non a Verona quando la stagione fu particolare”. E tra i ricordi c’è anche quel derby bolognese del 2019 Virtus-Fortitudo con due capitani di Chieti sul parquet: Pippo Ricci e Stefano Mancineli. “Vinsi io di tanto…” e giù una risata condivisa dal pubblico.
Figure-chiave nella carriera (Meo Sacchetti ed Ettore Messina), la competitività sempre più accesa salendo i gradini verso l’alto, la durezza del lavoro quotidiano conosciuta subito a Roccaporena con la Stella Azzurra: “Facevano tre ore di allenamento in mattinata, tre al pomeriggio. Una roba mai vista. Dopo cena, in albergo non vedo nessuno dei compagni. Dove sono? Chiedo a qualcuno. Forse in campo, mi rispondono. Si, dopo cena era tutti tornati in campo a ricominciare con tiri e palleggi… Capii molte cose”. L’impegno è stato talmente grande che dopo la frattura dello scafoide al polso destro imparò a usare la sinistra in tutte le necessità quotidiane. Non si sa mai. Il tiro mancino può risultare utile…
Il recente prolungamento del rapporto con l’Olimpia Milano fino al 2027 è stato il sigillo alle qualità tecniche e umane del nostro Pippo.
Che, questo va posto bene in risalto, ha una famiglia molto affiatata e ancorata a importanti valori. Pippo lo ha più volte ripetuto ieri sera: i consigli preziosi del papà Francesco (medico e sindaco di Chieti dal 2005 al 2010), gli sfoghi nelle lunghe telefonate con la mamma nei momenti difficili, capace come nessuno di rincuorarlo, il ruolo importante della sorella Irene.
E poi la solidarietà, i progetti di volontariato in Tanzania (insieme con i genitori) con l’Amani Education che presto realizzerà una scuola secondaria a Kisaki nella regione di Singida. E qui applausi ancora più scroscianti.
Infine riportiamo il commento di Ebron D’Aristotile, presidente del Panathlon Chieti.
“L’incontro è stato promosso dal Panathlon Club Chieti con Giampaolo “Pippo” Ricci, autentico simbolo di talento, determinazione e umanità. Il campetto della Villa Comunale, per l’occasione, è tornato a vivere gli antichi fasti, animandosi di giovani e appassionati, famiglie e sportivi, tutti uniti dall’entusiasmo per un grande campione e per i valori che lo sport sa trasmettere.
Sul parquet all’aperto, un parterre d’eccezione composto da ex giocatori e amici del basket teatino ha voluto rendere omaggio all’atleta, ma soprattutto all’uomo che, partito da Chieti, ha conquistato i palcoscenici internazionali senza mai dimenticare le sue radici.
Straordinaria l’intervista curata dal nostro socio Peppe Rendine, capace di guidare il racconto di Pippo con grande sensibilità, toccando temi che vanno oltre il campo da gioco: l’impegno, i sacrifici, la forza dei legami, la responsabilità verso le nuove generazioni.
Una serata all’insegna della solidarietà e dell’inclusione, come da spirito panathletico, suggellata dalla presenza istituzionale del Sindaco di Chieti e del Governatore dell’Area Panathlon.
Il nostro grazie più grande va a Pippo Ricci, che ha saputo restituire a Chieti, ancora una volta, non solo un sorriso, ma un esempio”.
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