Al Teatro Marrucino Il barbiere di Siviglia inaugura la stagione lirica, in un trionfo di tradizione e ironia rossiniana

Presso il celebre teatro teatino l’opera di Rossini rapisce nuovamente gli spettatori, grazie all’eccellente qualità lirica e interpretativa degli artisti e alla straordinaria esecuzione dell’Orchestra sinfonica abruzzese

L’acclamazione continua ed entusiastica e gli applausi scroscianti del pubblico hanno segnato l’inizio della stagione lirica del Teatro Marrucino, sul cui celebre palco è andato in scena venerdì sera Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, su libretto di Cesare Sterbini, che dal 1816, anno della sua prima rappresentazione, ha continuato a dominare i palchi dei teatri di tutto il mondo, in particolare quello del meraviglioso teatro teatino. Del resto il rapporto privilegiato che lega il compositore pesarese al Marrucino è cosa nota, ripensando all’inaugurazione nel 1818 dell’allora Real Teatro San Ferdinando (nome originario del Teatro Marrucino) che cominciò la sua brillante storia proprio con un’opera di Rossini, La Cenerentola, portando poi in scena Il barbiere di Siviglia nel 1819, esattamente tre anni dopo dalla sua prima rappresentazione, e riproponendolo costantemente nel suo repertorio. Un destino glorioso che ha reso l’opera una delle più celebri e rappresentate della storia della musica, ma inizialmente non minimamente immaginato per l’esordio poco felice dell’opera rossiniana e del suo antecedente letterario, quel Le Barbier de Séville, ou La Précaution inutile di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais (1773), il cui vulcanico protagonista, un barbiere, ex servitore emancipato e libero, e simbolo di denuncia verso l’epoca della monarchia francese, qui alla fine della sua storia e rappresentata in tutte le sue storture sociali, ben si adattò allo stile comico e ironico di Rossini, ma i cui connotati originari sono risaltati in tutta la loro potenza nell’allestimento proposto al Marrucino. Merito indiscusso del regista Gianmaria Romagnoli, che è riuscito a colpire gli spettatori riportando sul palco un linguaggio estetico e rappresentativo di impatto, spaziando dall’antica commedia dell’arte, che permea tutti i personaggi, e di cui sostanzialmente Figaro è discendente se ripensiamo a Brighella, il tuttofare astuto e malizioso, migliore amico di Arlecchino, ed in grado con la sua furbizia di raggiungere i suoi scopi, ad un tocco di natura granghignolesca, che nel trucco e nei dettagli scenici ne mette in luce l’aspetto violento, sottolineando il lato forse più ironico e “cattivo” dell’opera rossiniana.

In una rappresentazione di ambientazione sivigliana, in cui la Spagna tuttavia viene evocata solo nella prima parte dell’opera (grazie anche alla presenza di graziose ballerine vestite come danzatrici andaluse), proponendo un’estetica francese in omaggio a Beaumarchais, il protagonista indiscusso e vero fulcro di tutta l’opera, in grado di districarsi tra tutti i personaggi e di unire la varietà di momenti, è sicuramente Figaro, interpretato dal baritono Raffaele Facciolà, e dotato di una presenza scenica e di una potenza vocalica e interpretativa assolutamente in grado dominare la scena, di cui viene particolarmente enfatizzata la centralità nel tentativo di essere non più un vinto, sfruttato dai potenti, ma il vincitore, uomo libero che vive del suo lavoro e viene stimato per la sua arte (emblematica è la celeberrima cavatina Largo al factotum, in cui lui stesso celebra la sua bravura e la sua popolarità), che con la sua opera e i suoi sforzi ambisce a condurre il gioco, raggiungendo i risultati e riscattandosi socialmente. Un impatto scenico condiviso con il Conte d’Almaviva, interpretato dal tenore Stefano Sorrentino, la cui voce versatile, ricca di sfumature e magistralmente modulata secondo le diverse identità da lui assunte (lo studente Lindoro, l’ufficiale ubriaco e il sedicente insegnante di musica Don Alonso), al fine di conquistare la bella Rosina, risulta pienamente in armonia con lo stile rossiniano, le cui frasi musicali differenziano e evidenziano tutti i diversi travestimenti del nobile spagnolo.

Protagonista, si potrebbe dire al pari dei personaggi principali, è il contesto scenografico, di per sé semplice, sobrio e anche realistico, ma dotato di elementi scenici potenti (come la presenza di uno scheletro, simbolo del sopracitato gusto noir), di una espressiva caratterizzazione estetica sui volti degli artisti, il cui trucco è emblema dei sentimenti che li guidano (i cuori dipinti sugli occhi del Conte e di Rosina, simboli dell’amore che li unisce, gli occhi neri del cupo e ipocrita Don Basilio, il quadrato rosso sull’occhio della serva Berta, logorata dai rimpianti ma in fondo ancora immersa nei suoi sogni, e il verde di Don Bartolo, simbolo dei cattivi propositi per raggiungere i suoi loschi obiettivi), e soprattutto di un sapiente gioco di luci che lo rende specchio della caratterizzazione dei personaggi in azione e dei momenti drammaturgici più salienti dell’opera. Emblematici, in tal senso, i colpi di cannoni e i lampi, evidenziati in tutta la loro potenza grazie ad intensi sprazzi luminosi, così come la sfumatura rosata propria del personaggio di Rosina, interpretata dalla contralto Michela Varvari, la fanciulla contesa, il cui vestito rosa e nero rivela una donna che dietro ad un’apparenza dolce, remissiva e aggraziata non si rassegna al futuro scelto per lei, mostrandosi fiera e combattiva (arrivando addirittura ad impugnare una spada, e a rompere il quadro che sta dipingendo sulla testa di Don Bartolo, estenuata dalle continue e poco gradite profferte del suo tutore); allo stesso modo, un iconico sfondo rosso ha accentuato tutta la corruzione e la cattiveria delle intenzioni di Don Basilio, sacerdote e maestro di musica di Rosina, interpretato dal carismatico basso Andrea Tabili, che ha emozionato gli spettatori rapiti con la celebre aria La calunnia è un venticello, nonché la stretta Mi par d’esser con la testa in un’orrida fucina, in cui tutti i personaggi e il coro hanno chiuso il primo atto in un movimento vorticoso e coinvolgente che ha suscitato gli applausi entusiastici del pubblico. Ed infine, l’eccezionale qualità recitativa degli interpreti, tra i quali spiccano, oltre ai sopracitati Figaro, D’Almaviva, Rosina e Don Basilio, anche il basso Emilio Marcucci, interprete di Don Bartolo e particolarmente abile nel mostrarne tutta la meschinità, interessato a sposare Rosina solo per i suoi soldi, ma soprattutto la soprano Giulia Bruni, ossia la serva Berta, che ha regalato agli spettatori del Marrucino un’interpretazione commovente e toccante, tra le più memorabili della serata, mostrando tutta la profondità e intensità nel ricordare il tempo passato senza alcun risultato amoroso ma con una fugace speranza nel futuro e nei sogni ancora da realizzare.

E se risulta evidente l’eccezionale bravura degli artisti, in grado di spiccare non solo nelle esibizioni solistiche ma anche nell’armoniosa unione corale, non si può non rivolgere un plauso speciale al Coro del Teatro Marrucino, diretto dal M° Christian Starinieri, e alla straordinaria Orchestra Sinfonica Abruzzese, magistralmente diretta dal M° Davide Crescenti e vera perla della nostra regione, che hanno contribuito, unitamente all’incessante e lodevole lavoro del Presidente Ing. Giustino Angeloni, del Direttore Amministrativo Dott. Cesare Di Martino e del Direttore Artistico M° Giuliano Mazzoccante, al trionfo dell’opera rossiniana, inaugurando la nuova stagione lirica all’insegna dell’eccellenza artistica teatina ed abruzzese.

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