Tra le mura di casa: la violenza invisibile

Riflessione suggerita dal romanzo “Binding 13”, di Chloe Walsh

“Non volevo tornare a casa.
Ma sapevo che dovevo farlo.
Non volevo essere picchiata.
Ma sapevo che lo sarei stata.
In un modo un po’ confuso, ho accettato il mio destino. Sapevo che non c’era altra via d’uscita.
Pertanto, non mi sono sorpresa quando la prima cosa che mi ha accolto quando ho varcato la porta d’ingresso sabato sera è stato il pugno di mio padre. La forza del colpo mi ha tolto l’aria dai polmoni e sono caduta a terra carponi sul pavimento del corridoio.
«Ti sembra l’ora di tornare, ingrata?» urlò. Non ebbi la possibilità di rispondere o difendermi prima che lui si abbassasse e mi tirasse ancora di più dentro casa tirandomi dai capelli.
E mentre sento le unghie che si conficcano dolorosamente nel mio cuoio cappelluto, lo capisco. Capisco che questo è il giorno in cui morirò”.

Finisce così il primo libro della serie inglese “Boys of Tommen” scritta da Chloe Walsh e iniziata nel 2018.
Questo libro mi ha fatto molto riflettere su un tema importantissimo, ma anche poco discusso.
È statisticamente provato che, nel 2023, il 69,2% delle violenze segnalate al numero di pubblica utilità 1522 (Numero nazionale anti-violenza e stalking) è avvenuto in ambito domestico.
Inoltre, nella seconda metà dello stesso anno, il 71,7% delle vittime ha dichiarato che i propri figli hanno assistito alla violenza, mentre il 28,3% ha riferito che i figli l’hanno anche subita.
Il libro parla di Shannon, adolescente vittima di violenza domestica sin dalla nascita – molte volte senza un motivo preciso, anche per il solo fatto di essere donna – e di bullismo fino a che la madre non la trasferisce al Tommen (scuola privata in Irlanda).
Nel libro l’autrice esplora diversi tipi di violenza domestica:
Fisica: Shannon subisce schiaffi, pugni, aggressioni ripetute, che lasciano sicuramente segni visibili ma anche profonde cicatrici emotive.
Psicologica: il padre di Shannon usa minacce, con la svalutazione delle capacità e della dignità soprattutto di Marie, madre di Shannon.
Economica: la famiglia di Shannon non è messa molto bene a livello economico. Questo porta il secondogenito, Joey, a lavorare sin dai 12 anni per uno stipendio che poi, il padre, spenderà in alcol.
Sociale: Shannon viene fatta uscire di casa solamente per andare a scuola. E non può trovarsi un lavoro perché il padre sostiene che le donne debbano soltanto stirare, lavare e pulire la casa.
Il libro evidenzia stereotipi radicati: la donna messa in un angolo e l’uomo come unico capofamiglia.
Il romanzo alterna la narrazione alle memorie dolorose di Shannon:
“Mi sentivo impotente. Volevo solo farlo smettere”.
E sono pensieri che rispecchiano quanto emerge dai dati reali: secondo ISTAT, il 65,5% delle vittime non denuncia la violenza alle autorità.
Operatori di centri antiviolenza sottolineano spesso che il primo passo per liberarsi della violenza domestica è parlarne con qualcuno.
Essa ha effetti devastanti: Shannon soffre di ansia, insonnia e perdita di autostima, e ha sempre paura di entrare in casa (un luogo che, per la maggior parte dei ragazzi, è considerato il proprio “luogo sicuro”).
Tuttavia, Shannon, con l’aiuto del suo ragazzo Johnny, riesce a ricostruire la sua vita, trovando un punto di riferimento in Edel, madre di Johnny.
La lettura invita a chiedere aiuto. Nel secondo libro, vedremo come Shannon riuscirà a raccontare la situazione a Johnny e, in questo modo, a salvare la sua vita e quella dei suoi fratelli.
Consiglio vivamente questo libro perché dice molto di un vissuto familiare comune a tanti e, dunque, vale assolutamente la pena leggerlo.

Letizia FILIPPONE

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