Un dirigente medico ha presentato ricorso al Tribunale di Lanciano contro l’Azienda Sanitaria Locale 2 Lanciano-Vasto-Chieti, chiedendo il riconoscimento del diritto al buono pasto per tutti i turni di lavoro superiori alle sei ore ed un risarcimento per i buoni non percepiti. Il ricorso contesta la legittimità del regolamento aziendale che limita tale diritto ai soli turni che superano le otto ore continuative, denunciando una disparità di trattamento e la violazione di norme di legge e contrattuali di rango superiore. Il ricorrente svolge la sua attività con un orario di 38 ore settimanali, articolato su sei giorni lavorativi, con turni che spesso superano le sei ore giornaliere.
La ASL li concede solo a chi supera le 8 ore di lavoro continuativo, ma il medico – assistito dall’avv. Luca Damiano – denuncia una regola considerata illegittima ed una disparità di trattamento rispetto ad infermieri ed amministrativi che invece li ottengono già dopo 6 ore e rispetto ai colleghi di Chieti, che prestano servizio presso il Presidio Ospedaliero S.S. Annunziata di Chieti, facente parte della medesima ASL, i quali hanno accesso al servizio mensa a prescindere dall’articolazione dell’orario di lavoro, potendone usufruire anche per turni inferiori alle otto ore.
Il ricorso si fonda su un solido impianto normativo e giurisprudenziale che individua il presupposto per il diritto alla pausa, e di conseguenza al servizio mensa o al buono pasto sostitutivo, nel superamento delle sei ore di lavoro giornaliero.
Di conseguenza, i regolamenti aziendali che limitano questo diritto, come quello della l’Azienda Sanitaria Locale 2 Lanciano-Vasto-Chieti che impone il superamento delle otto ore, sono considerati illegittimi perché in contrasto con norme di rango superiore.
Il ricorso qualifica la pretesa non come una richiesta di “monetizzazione” del buono pasto (vietata dalla contrattazione), ma come una domanda di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale del datore di lavoro. La quantificazione del danno viene parametrata al valore economico dei buoni pasto non fruiti, un criterio ritenuto legittimo dalla Cassazione, che si è di recente espressa in favore del medico per la liquidazione equitativa del pregiudizio subito dal dipendente.
Si confida in una soluzione bonaria della controversia, nel rispetto dei diritti dei lavoratori e della parità di trattamento.
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