A noi la parola:”Una passione speciale” di Alessia Robuffo

Andavo a scuola felice e spensierata, con il desiderio di scoprire nuove cose; poi tornavo a casa con le mie amiche, pranzavo insieme ai miei genitori, studiavo e mi divertivo: insomma, tutto ciò che fa una normale ragazza. 
Un giorno, però, tutto è cambiato: all’improvviso è scoppiata una guerra, senza avviso e senza ragioni.
Vedevo i miei genitori nel panico più profondo, mentre cercavano un modo per fuggire e proteggermi. Sentivo un dolore profondo: attorno a me persone uccise, ferite, in fuga. Di notte non riuscivo a dormire: bombardavano case, piazze, edifici, negozi e persino chiese, ma avrebbero avuto il coraggio di distruggere anche un ospedale, e io avevo paura che un giorno sarebbe potuto toccare a casa mia. 
Mi chiedevo la motivazione di tutto questo odio, ma non ho mai trovato una risposta. La gente aveva smesso di sorridere, forse aveva dimenticato come si fa, pensavo: era come se fossero affamati d’amore, come se avessero bisogno di qualcuno che li capisse e li rispettasse, perché si sentivano indesiderati, senza speranze. Mi chiedevo perchè: volevano un pezzo di terra, ma non potevano trovare una soluzione discutendo? Hanno dovuto causare feriti, morti, bimbi senza una casa e una famiglia, per avere più potere? A cosa serve il potere se hai distrutto le persone, sia mentalmente che fisicamente?
Io e la mia famiglia abbiamo cercato di scappare in un’altra città per non rischiare la vita, ma non ci siamo riusciti. Alla fine mio padre è stato costretto a combattere. Un giorno è entrato in casa un militare per comunicarcelo. Eravamo sconvolti.  Prima di rendermene conto, ho abbracciato forte il mio papà e ci siamo salutati. Io e mia madre eravamo disperate, provavo rabbia e un forte senso di ingiustizia per quello che era accaduto.
Dopo pochi giorni la nostra casa è andata in fiamme. Noi, per fortuna, siamo riuscite a salvarci. Tutto ciò che avevo era andato perduto: sono riuscita a salvare dal fuoco solo un quadernino ed una penna. Io e la mia mamma abbiamo cercato rifugio dovunque, anche in case ormai distrutte e bruciate. Era terribile: avevo sempre più fame e paura di non riuscire a sopravvivere. Avevamo pochissimo cibo ma lo facevamo bastare. 
Quando avevo paura o per passare il tempo, scrivevo. Il mio sogno era quello di diventare scrittrice e pubblicare un libro. 
Io e la mia mamma soffrivamo molto, eravamo circondate da persone morte, non sopportavamo più il peso di tanti dolori. Speravamo con tutte le forze in una vita migliore e che la guerra finisse. La mia mamma mi curava sempre, nei momenti tristi mi faceva tornare il sorriso, avrebbe fatto di tutto per me; le volevo un mondo di bene, così tanto che non sapevo descriverlo. 
Un giorno un soldato nemico venne verso di noi, la afferrò e la portò via. Io vidi negli occhi della mia mamma la paura, ma lei non si oppose. La abbracciai forte e lei mi disse: “Tesoro, ricorda che ti voglio un mondo di bene” e io le mandai un bacio. Poco dopo, sentii uno sparo e scoppiai in lacrime. Capii che quella era stata la sua ultima frase, il nostro ultimo  abbraccio. Ero distrutta, non ce la facevo più. Dopo pochi giorni venne un amico di mio padre che mi annunciò che papà era stato un forte guerriero, ma non ce l’aveva fatta. Scoppiai in lacrime. Piangevo tutti i giorni e pensavo che non sarei riuscita a sopravvivere.
Dopo tanti anni di sofferenze, la guerra, come era iniziata, finì. Ero contenta, ma una parte di me era vuota, per tutti quei brutti ricordi che non riuscivo a cancellare dal cuore e dalla testa. Un po’ di mesi dopo, iniziai a studiare letteratura, perciò riscrissi il mio racconto e riuscii a pubblicarlo: ero la ragazza più felice del mondo.
Non dimenticherò mai il giorno in cui, camminando per una strada, vidi un orfanotrofio, che sembrava terribilmente abbandonato; entrai e vidi una bambina, andai verso di lei, le strinsi la mano e la abbracciai. Le dissi: “Che ci fa qui una bambina così bella?” Lei mi disse che i suoi genitori non c’erano più ed era alla ricerca di una nuova famiglia che l’amasse. Le chiesi se volesse venire con me e il suo viso improvvisamente si illuminò. Sentiva che finalmente c’era qualcuno che teneva a lei e mi rispose con un “Sì” pieno di gioia. 
Feci la domanda al tribunale e dopo mesi e mesi di attesa ebbi finalmente l’affidamento. Ci divertivamo tantissimo insieme, le avevo comprato una bambola che lei amava molto e con cui giocava sempre. Arrivò finalmente il giorno in cui riuscii ad adottarla: eravamo molto contente e impazienti di iniziare una nuova vita insieme! Tornammo finalmente a sorridere, entrambe. 
Rimanemmo per un po’ di tempo in una casa in affitto, mentre cercavamo una casa tutta nostra. La trovai, era in un quartiere elegante: un soggiorno, una camera più grande e una più piccola, una cucina e un bagno. La cucina si affacciava su una piccola terrazza. Eravamo felici.

Alessia Robuffo, classe 1^ A, Scuola secondaria di primo grado “Vicentini – Della Porta”

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